Università degli Studi di Milano-Bicocca

numero 3 – febbraio 2001

Si ringraziano la Libreria Universitaria Bicocca e la copisteria AGCopy per la gentilissima collaborazione.

Sono intervenuti in questo numero: Enzo Biscardi, Teresa Ciociola, Marisa Conte, Natascia Curto, Guido La Moto, Alessandro Mietner, Patrizia Moretti, Elena Polli, Davide Sala, Emanuele Serrelli, Emanuela Trevisi, Diego Valeri, la redazione del sito non ufficiale e tanti altri amici...

Scie ritorna ad aprile! Ringraziamo tutti coloro che ci scrivono e ci sostengono, e cerchiamo sempre nuovi collaboratori! Vi auguriamo buon inizio semestre. Ci vediamo in giro per la Bicocca!

Box informativi

Dal coordinamento

Grazie ragazzi!

di Emanuele Serrelli – s.d.e. III anno

Ciao a tutti cari lettori! In questo numero limiterò il mio intervento a poche righe, perché i contributi pervenuti sono tantissimi oltre che di grande qualità. Grazie di cuore a tutti gli autori, a tutti i nuovi coordinatori e a tutti coloro che mostrano per Scie il loro sostegno e la loro disponibilità. Siete voi la vita di questo giornalino!

Scie funziona. E bene. Avete visto le cartine appese in giro per l'U6? Non vi sembrano fotocopie ingrandite di quelle fatte da Scie per il numero di settembre? Beh, lo sono, ma è stata l'istituzione universitaria a riprodurle ed attaccarle (a nostra insaputa). Inoltre alcuni professori ci hanno chiesto una delle copie degli appelli che abbiamo diffuso a nostre spese a dicembre. Primi, piccoli riconoscimenti delle attività che gli studenti stanno creando e portando avanti, e che dobbiamo guardare con orgoglio e ammirazione:

Ma anche tutti gli studenti che con impegno e semplicità hanno voluto regalarci le loro riflessioni, emozioni, creazioni, crisi di nervi…

Per diversi motivi non è stato ancora possibile proseguire l'indagine sul costo dei libri, rispetto al quale abbiamo ricevuto anche una lettera del prof. Raffaele Mantegazza che ringraziamo infinitamente.

Buona lettura, e date un'occhiata anche ai "box" sparsi fra le pagine, che sono pieni di informazioni interessanti, e gli avvisi importantissimi a pagina 27!!!

Appelli d'esame

Metodologia della disorganizzazione pedagogica

di Alessandro Mietner – s.d.e. III anno

Esito: Morale:

Appelli d'esame

30 secondi di terrore

Brano raccolto dal sito murale

Caro professore che passi qui davanti, vuoi vivere la sensazione che da prepararsi per un esame come quelli di questa facoltà nei ristrettissimi tempi di una sessione d'esame?

Allora fai questa esperienza. Io a farla ci metto 15 giorni, e la faccio 3 volte in due mesi, ma tu puoi provare qualcosa di simile in 30 secondi, qui, adesso.

Allora guarda l'orologio, hai 30 secondi per ricordarti cosa c'è scritto qui sotto.

Milano è all'avanguardia in Europa grazie ad un progetto guidato da Enea che ha avuto come partner Ansaldo Ricerche di Genova e l'azienda energetica municipale (AEM) di Milano. Si tratta di dispositivi che producono energia elettrica convertendo attraverso un processo elettrochimico l'energia libera di un combustibile. I principali elementi che la costituiscono sono: anodo - elettrodo in corrispondenza del quale avviene la reazione di ossidazione del gas combustibile con produzione di elettroni; catodo - elettrodo in corrispondenza del quale avviene la rea zione di riduzione del gas comburente con l'utilizzazione degli elettroni provenienti dal circuito elettrico esterno (carico elettrico); elettrolita - sostanza di elevata conducibilità che permette il passaggio del flusso di ioni. A seconda della natura dell'elettrolita gli ioni possono essere positivi (diretti al catodo) o negativi (diretti all'anodo). Le celle "elementari" vengono collegate in serie per ottenere la tensione desiderata , così da costituire uno stack. Il collegamento avviene per mezzo di piatti bipolari, che hanno la funzione di effettuare la connessione elettrica separando nel contempo le correnti gassose catodiche e anodiche. I diversi tipi di celle a combustibile sono classificati secondo la natura dell'elettrolita, che comporta, oltre alla diversa specie dello ione chmigra attraverso la cella, differenti caratteristiche in merito alla temperatura di funzionamento, ai materiali impiegati, alla composizione dei gas reagenti. I vantaggi ambientali e produttivi: nessun impatto ambientale. Nelle celle a combstibile non si ha produzione di Nox. Le uniche emissioni (inferiori ai 10 ppm) sono dovute alla combustione nel reformer e nel bruciatore ausiliario. Assenti le emissioni di Sox e di particolato. Il livello di rumore è inferiore ai 45 dBA. Alto rendimento elettrico. La conversione dell'energia avviene direttamente, senza i limiti propri del ciclo di Carnot. Il rendimento è elevato (fino al 60%) e si mantiene tale in un ampio intervallo di funzionamento. L'efficacia è elevata anche negli impianti di piccola potenza. Facilità di cogenerazione. Il calore prodotto dall'impianto può essere utilizzato per il teleriscaldamento degli edifici o per uso industriale, contribuendo con l'eliminazione delle caldaie locali alla riduzione dell'inquinamento urbano. Duttilità di esercizio. Gli impianti sono molto flessibili e si adeguano con velocità alle variazioni di carico, potendo così essere utilizzati per coprire i carichi di punta. L'impianto da 1 MW con celle a combstibile di Milano rappresenta il primo impianto dimostrativo di questa taglia realizzato in Europa. L'impianto, che opera in pressione, è alimentato con gas naturale e può essere esercito sia in collegamento con la rete elettrica che in "isola". Uno dei principali obiettivi del programma è l'acquisizione delle conoscenze nel campo della progettazione e realizzazione di impianti con celle a combustibile. La taglia scelta è tale per cui le esperienze che ne sono derivate protranno essere proficuamente utilizzate sia per i più grandi impianti di produzione distribuita di energia elettrica pressurizzati (dell'ordine di qualche decina di MW), che per i più piccoli generatori non pressurizzati (potenze da un centinaio di kW ad 1 MW). Il programma è nato ed è stato portato avanti come collaborazione tra Enea, l'Azienda energetica di Milano (AEM) e l'Ansaldo Ricerche di Genova. L'Enea coordina l'intero programma, fornendo anche la maggior parte dei finanziamenti. L'Ansaldo Ricerche di Genova è responsabile di tutte le attività di progettazione, realizzazione e prova dell'impianto. L'Aem si è fatta carico della scelta del sito, della realizzazione dell'edificio e dell'acquisizione delle licenze necessarie. L'Aem è diventata proprietaria dell'impianto al termine delle prove preoperazionali, e ne condurrà l'esercizio sperimentale secondo un programma congiunto tra Aem, Ansaldo Ricerche ed Enea. L'impianto, stuato nel quartiere della Bicocca (ex area Pirelli) a Milano, è stato concepito nell'ottica di favorire l'armonizzazione architettonica con l'ambiente circostante secondo il recente piano di riassetto urbano dell'area. L'impianto è suddiviso nei seguenti sistemi: trattamento del combustibile; aria di processo; celle a combustibile; raffreddamento dei moduli elettrochimici; smaltimento del calore; condizionamento della potenza. Il sistema di trattamento del combustibile è alimentato con metano compresso a 12 bar da due compressori volumetrici, e produce un gas ricco di idrogeno (75% molare), che viene inviato alle celle. E' composto dalla sezione di desolforazione, dal reformer e da due reattori di conversione dell'ossido di carbonio residuo in idrogeno (shift). Il sistema aria di processo comprime l'aria, che viene inviata alle celle alla pressione di 8,3 bar. E' costituito da un gruppo turbocompressore bistadio con raffreddamento intermedio e da un bruciatore ausiliario per la regolazione del gruppo. Il sistema celle a combustibile produce energia elettrica in corrente continua con due moduli elettrochimici (stack) collegati in serie che operano a 8,3 bar e 207 C. Ogni modulo ha una potenza elettrica di 670 kW. Il sistema di raffreddamento dei moduli elettrochimici asporta il calore prodotto dalle celle, producendo nel contempo il vapore necessario alla reazione di reforming. E' costituito da un separatore di vapore e da una serie di scambiatori di calore. Il sistema di smaltimento del calore elimina il calore in eccesso (circa 900 kWt) sviluppato dal processo di produzione di energia elettrica. E' suddiviso in due circuiti, uno ad alta ed uno a bassa temperatura, equipaggiati con due torri di raffreddamento a secco e con sistemi che permettono di valutare la quantità di calore smaltito. Il sistema di condizionamento della potenza converte la corrente elettrica continua prodotta dalle celle in corrente alternata a 50 Hz tramite due inverter a commutazione forzata (Gto). Il sistema è collegato alla rete elettrica tramite un trasformatore 600/23000 Volt, e permette anche il funzionamento dell'impianto in isola. L'impianto è gestito da un sistema di automazione bastato su tecnologia a microprocessori.

Io do gli esami nelle condizioni di preparazione in cui ti trovi tu adesso rispetto a questo testo.

Cosa ne pensi?

Non sarebbe il caso o di permettere di preparare gli esami in un tempo ragionevole, o di rendere il programma gestibile in due settimane di studio?

Appelli d'esame

Caro preside

di Diego Valeri - s.d.e. III anno

Il giorno 20 febbraio doveva esserci alle 10 l'appello in Bicocca di Psicologia Clinica (Ugazio). Alle 11.30 la docente non era ancora giunta in Università. Alcuni studenti si recano in segreteria a chiedere se per caso fosse possibile avere notizie… chiamano la docente che comunica alla segreteria di Facoltà che per quel giorno lei è occupata.

Evviva! Il giorno dopo l'esame è fissato alle 13.00, la nostra arriva e dice di scusarla ma lei aveva spedito una mail all'Università dicendo di rinviare l'appello del 20 perché doveva presiedere una commissione… la mail chiaramente è stata inviata all Università di Torino dove la nostra insegna. Ma dato che a Torino non sono organizzati come a Milano, quegli stolti non l'hanno avvisata che si era sbagliata. Poverina. Immaginiamo per un momento l'impiegato/a che ha ricevuto a Torino una mail per un esame che non c'era? Avrà pensato che la docente magari volesse sondare o fare esperienza di una comunicazione "bizzarra"…

Insomma, caro preside, ci dica da che mondo è mondo se una docente debba avvisare che non può essere presente all'appello con una mail. Ci dica anche se è serio. Ancora, ci dica perché diavolo dobbiamo pagarvi delle tasse Universitarie se non garantite nemmeno gli appelli. Anche se intellettuali non siete gli unici a lavorare in questo paese. Alla prof.ssa Ugazio l'Università di "Massa" piace poco. La Costituzione garantisce il diritto per chi può a frequentare Università private. Compreso?

Appelli d'esame

Organizzarsi? Si può

di Natascia Curto - s.d.e. III anno

Periodo d'esame: gli appelli nella nostra facoltà normalmente sono disorganizzati. Ma in mezzo a questo caos mi sono imbattuta in qualcosa di insperato: un appello meravigliosamente organizzato.

Per cominciare, gli iscritti erano relativamente pochi: il professore aveva reso possibile sostenere parte dell'esame a novembre e questo ha permesso cose che negli altri appelli erano impensabili (tipo starci tutti in un'aula).

La mattinata è cominciata bene: il professore si è presentato con il microfono (evento raro) e in orario (evento ancora più raro). Presto è cominciato l'appello, presto si è saputo chi sarebbe stato interrogato il giorno stesso e chi nei giorni successivi. Tutto questo sarebbe bastato e invece il professore si è persino fatto dare i numeri di telefono di quelli che non sarebbero stati interrogati il giorno stesso, per chiamarli nel caso in cui ci sarebbero stati cambiamenti di orari o di giorni (ricordo un appello dell'anno scorso in cui le interrogazioni sono state anticipate senza avvertire nessuno).

Tutta questa attenzione nei confronti degli studenti non ha comportato una perdita di tempo perché nel frattempo gli assistenti avevano già iniziato a interrogare.

È stata dimostrata attenzione nei confronti degli studenti anche perché si è cercato di andare incontro alle esigenze di tutti ascoltando le richieste e i problemi (ho presente una professoressa che entrando nell'aula ad appello già iniziato ha dichiarato: "chiedeVe qualsiasi cosa adesso è una follia").

Chi è stato a quest'appello l'avrà sicuramente riconosciuto: si tratta dell'esame di storia della filosofia del prof. Cingoli. Un professore che ha dimostrato che, con un po' di attenzione e di buon senso, organizzarsi è possibile.

Rappresentanti

Elezioni rappresentanti degli studenti

di Marisa Conte - s.d.e. IV anno

LEGENDA:
CCL = Consiglio di Corso di Laurea
CdF = Consiglio di Facoltà
CdA = Consiglio d'Amministrazione
SAI = Senato Accademico Integrato

I rappresentanti degli studenti sono eletti per un biennio in numero pari al 15% del Consiglio. Il loro numero non può comunque essere inferiore a 5.

Quest'anno non ci saranno le nuove elezioni del CdF e del CCL perché si attendono quelle dell'anno prossimo, in coincidenza con il rinnovo della rappresentanza in CdA e in Senato Accademico. Questa decisione è stata presa dal Rettore e approvata dai Presidi delle Facoltà interessate dopo aver sentito e discusso insieme ai rappresentanti in SAI la seguente proposta: per il CCL di Scienze dell'Educazione e per il CdF di Scienze della Formazione ci saranno nuovi rappresentanti invitati, a titolo consultivo, a partecipare alle riunioni con i docenti. Questi studenti svolgeranno a tutti gli effetti l'incarico di rappresentanti ma solo per un anno, allo scadere del quale si dovranno dimettere in attesa di regolari elezioni.

Questo significa che i rappresentanti nominati dalla Facoltà non avranno diritto di voto ma la loro partecipazione ai Consigli è di fondamentale importanza, visti i compiti che ci riserva il futuro prossimo: si tratta di fare alcune scelte importanti in merito alla organizzazione didattica della nostra Facoltà e ci si dovrà confrontare con la nuova sfida che offre la riforma del 3+2. Questa soluzione di compromesso (parlo a nome di tutti i rappresentanti del SAI) ci è sembrata poter giungere opportuna in questo periodo di stallo decisionale, anche perchè andrebbe a sanare l'anomala situazione in cui si trova la nostra Facoltà per quanto riguarda la rappresentanza studentesca:

Alla luce di quanto appena esposto vorrei farvi un invito ad interessarsi alla vita politica dell'università, ad impegnarsi in prima persona a mettere mano a quanto bisogna aggiustare, a prendere le decisioni che ci spettano per le cose che ci riguardano senza rassegnarsi in lamentele di corridoio, magari seduti per terra… perché non ci sono spazi per noi!

Spero che queste informazioni arrivino a tutti quelli che potrebbero essere interessati e orgogliosi di partecipare attivamente alla vita universitaria… per dire a tutti che gli spazi per noi ci sono, bisogna saperlo e quindi andare ad occuparli!

Ci sarà un'assemblea studentesca per decidere insieme chi si sente di impegnarsi subito e con entusiasmo!

Tale assemblea ha avuto l'autorizzazione del Preside prof. Ceruti e si terrà come è nostro diritto in orario di lezioni.

Ci troviamo in aula 2 dell'U7 MARTEDI 6 MARZO DALLE 8.30 ALLE 10.30, AL POSTO DELLA LEZIONE DI LINGUISTICA GENERALE.

Posta

Troppo comodo!

di Diego Valeri - s.d.e. III anno

Care/i colleghe/i. Non so se seguirvi nella vostra pur giusta protesta per il costo dei libri. Intanto perché credo che negli ultimi decenni gli studenti non abbiano fatto altro che protestare unicamente per ragioni di tipo economicistico. Va bene per carità. Tutto qui?

Certo i libri costano, ma cosa sono i libri? Perché non protestare al contrario contro politiche che riducono e selezionano gli studenti anche attraverso queste logiche. Ma non solo. Perché vorrebbe dire cominciare a fare politica? Questa è un'illusione, comunque sia la si fa. Accettando anche logiche riduttive. Quelle dei libri.

Potremmo fare in proposito già domani una cosa: ci presentiamo in regione e diciamo al presidente Formigoni che parte di quei novantadue miliardi devono servire a pagarci i libri o le rette. Ancora. Perché non cominciamo anche a chiederci quale sapere ci viene trasmesso, i modi, le forme. L'organizzazione dell'università? Di più. Come mai nella scuola di stato, nella sua più alta istituzione culturale, laica, al prete vien concesso un ufficio e un aula per l'Eucarestia e agli studenti no? In particolare se poi sono "omo"? Oppure perché non danno un ufficio ad un Rabbino o a un sacerdote Maomettano!

I libri sono assieme uno strumento dello studente, un valore aggiunto, un lavoro, spesso duro, dell'autore. Poi sono un problema economico che a volte discrimina. Però costano meno di un cellulare e hanno finalità diverse. Qualcuno ha proposto che i libri di testo fossero gratuiti e pagati dalla fiscalità generale. Perché è un bene del paese, si pensa, avere cittadini sapienti (checché ne dica il presidente della regione Lazio) e libri sui quali formarsi. Non solo libri, ovviamente. Allora facciamo partire dalla Bicocca una vertenza generale, se tutti dobbiamo pagare la scuola privata sarà bene un diritto avere un buono libri! O no?

Anche perché mi pare che una delle rivendicazioni forti contro chi pensa di poter snaturare una laurea con un diploma triennale passi proprio attraverso la qualità e il sacrificio del percorso universitario. Allora le cose si tengono insieme. Altrimenti rischiamo la demagogia. I libri no, il grande fratello sì. Per estremizzare. Oppure i libri no, come la politica. Troppo comodo.

Esperienze

Lavorare e studiare
Binomio attuabile o semplice utopia?

di Emanuela Trevisi - s.d.e. II anno

Tempo fa, dovendo consultare per un motivo qualsiasi la guida fucsia della facoltà, mi trovo casualmente a pagina 23, proprio dove inizia la sezione riguardante il nostro corso di Laurea. Qui trovo citata una frase del celebre pedagogista americano J.Dewey, che scrive: "Credere che ogni educazione autentica provenga dall'esperienza non significa già che tutte le esperienze siano genuinamente educative […]. Ci sono difatti delle esperienze diseducative. È diseducativa ogni esperienza che arresta lo svolgimento dell'esperienza ulteriore."

Il concetto di "esperienza diseducativa" espresso da Dewey, vista come esperienza che si interpone tra il soggetto ed il proprio processo di sviluppo, mi porta a riflettere: essa infatti mi sembra si accosti molto alla considerazione che in ambito universitario si ha di coloro che affiancano alla propria attività scolastica un'attività di tipo lavorativo che li impegni quotidianamente. Chi scrive, ovviamente vive in prima persona la questione ed appunto sulla propria esperienza può affermare (forse vittima dei suoi entusiasmi giovanili) che l'attività lavorativa non è solo un dispendio di energie in vista di un fine, è un lavoro: su, verso e dentro sé stessi, esso è FORMAZIONE!

Dunque, mi domando perché sostenere che il nostro corso di studi poco si adatta a coloro che lavorano? Se consideriamo il significato etimologico del verbo "educare", dal latino "educere" composto di ex (fuori) e ducere (trarre), possiamo affermare che educativo è ogni processo che permette all'individuo di trarre fuori qualcosa già presente dentro di lui, ma non è proprio ciò che accade quando ogni giorno sul lavoro si ha a che fare con persone differenti con cui ci si relaziona, e secondo la tipologia delle quali variamo il nostro registro comunicativo? Ogni giorno ci si mette alla prova, non solo nel modo in cui si affronta la diversità dell'altro, ma anche dal punto di vista individuale, perché si percorre una sorta di viaggio nel labirinto della propria interiorità alla scoperta di aspetti e potenzialità del proprio carattere che non si sospettava di possedere. Con queste considerazioni non voglio certo sostenere che chi studia e lavora viva in una specie di "eden" (anzi le difficoltà ed i sacrifici ci sono eccome! Connettersi alla mailing list di slsed per crederci!), né tanto meno fare un erasmiano "Elogio del Lavoro", ma affermare che entrambi gli aspetti si bilanciano, coloro che lavorano sono svantaggiati sul piano teorico perché non hanno la possibilità di essere sempre presenti a tutte le lezioni e dunque meno aggiornati, rispetto ad i loro colleghi frequentanti, sul tipo di approccio che il tal professore vuol dare al proprio corso, sono sempre vincolati ai giri delle lancette e costretti a guardare l'orologio soprattutto quando studiano, ma essi seppur in minima parte riescono ad arricchire il proprio "bagaglio culturale" con l'esperienza quotidiana. Per concludere sono sempre più convinta che spetta più che mai ad ognuno di noi, al modo in cui vive le cose, al modo in cui le affronta, fare della propria quotidianità un grande "Dispositivo Pedagogico".

Eventi

La candela della memoria

di Patrizia Moretti - s.d.e. I anno

Ciao, sono Patrizia e sto per raccontarvi una storia particolare. Avete mai sentito parlare della "candela della memoria"? È una candela difficile da spegnere ed è la candela che abbiamo acceso in aula grazie alla testimonianza di due donne speciali: Liliana e Giovanna, l'una deportata ad Auschwitz e l'altra figlia di una deportata a Ravensbruck. Ci hanno raccontato sofferenze inaudite, dolori inimmaginabili, umiliazioni e torture disumane. Ma poi ci hanno offerto una luce, un bagliore di speranza e ci hanno aiutato a capire. Ci siamo resi conto che adesso tocca a noi testimoniare, che non possiamo dimenticare e non dobbiamo far dimenticare. Per quanto gli altri soffino forte, noi non lasceremo mai spegnere la candela della memoria!

Uno degli aspetti terribili della morte è che quando una persona muore, noi continuiamo a vivere. Nonostante la morte dell'amico, del fratello, dell'altro, noi continuiamo a mangiare, a bere e a dormire. Questa non è la barbaria del corpo ma la poesia della vita. Quando qualcuno muore non muoiono solo lui e il suo mondo, ma nasce un nuovo mondo senza di lui. In questo nuovo mondo noi siamo chiamati ad un impegno maggiore perchè siamo responsabili della memoria dello scomparso. Fabio

RICORDI?

Perchè sei triste uomo?
"la mia donna, i miei bimbi sono stati uccisi"
sbagli uomo, loro ti stanno aspettando.
Ricordi?
Perchè questo è l'importante
Ricordi?
Quando arrivava l'ora di pranzo e uscivi dal lavoro, loro ti aspettavano in fondo alla strada
dove una casa, un camino, ti donavano ristoro, loro ti aspettavano.
Non una parola, non un gesto,
eppure… quanta gioia, quanta gioia vederli.
È ancora così, è ancora così,
ricorda,
loro non parlano, non fanno gesti,
sereni ti aspettano lassù. Maria Luisa

Son morto che ero bambino,
son morto con altri cento,
passato per un camino,
ed ora sono nel vento. Michela

Visto che in questo luogo [il lager] si può sopravvivere, dobbiamo voler sopravvivere per testimoniare. Una facoltà ci resta, l'ultima, quella di negare il nostro consenso [da Se questo è un uomo]

Non è indispensabile essere sensibili ad Auschwitz, ma è indispensabile sapere come il mondo dopo Auschwitz sia inevitabilmente diverso.

Per i deportati che vedevano i forni per l'ultima volta era la fine; per chi li vede per la prima volta è l'inizio. L'inizio della speranza di poter raccontare, di poter resistere, di poter impedire che tutto questo si ripeta, di poter convincere le persone a visitare quei luoghi perché non bastano le foto o le parole per capire: l'essenziale è invisibile agli occhi. Patrizia

Bisogna vergognarsi di quello che è successo nei campi di sterminio, ma oggi bisogna vergognarsi che non si riesca a dire NON 6 milioni di ebrei, NON 6 milioni di comunisti, NON 6 milioni dizingari, NON 6 milioni di prigionieri politici, NON 6 milioni di STUCK, MA 6 milioni di UOMINI, di ESSERI UMANI sono morti nei campi di sterminio. Luca

Di fronte ai tentativi di cancellare la storia, di fronte ai tentativi di negare la Shoah, di fronte ai tentativi di spezzare la catena della conoscenza, noi vogliamo resistere. Vogliamo ricordare per negare il nostro consenso, vogliamo conoscere, ascoltare, vedere la Shoah, per farci portavoce; vogliamo sapere per avere memoria, per non dimenticare. Quando si parla delle vittime dei lager non si parla quasi mai di uomini ma di "cose". Per ridargli identità, per mantenere viva la memoria, per cancellare il tatuaggio, vogliamo dargli un nome, un volto. [da Se questo è un uomo]

A LILIANA E GIOVANNA

Silenzi in attesa d'aula affollata
protesi a carpire qualche parola
la strana lezione è già cominciata:
stamani accogliamo una donna sola.

Stamani ascoltiamo parole antiche:
negli occhi Giovanna ha un ricordo forte
nel cuore ha Liliana cento fatiche:
stamani sfioriamo il buio e la morte.

(suona un cellulare nell'aula muta
- forse un po' distratto è uno su mille -
si sente dir "pronto?" una voce acuta
- no, non è distratto, è proprio imbecille -)

Di fronte a una donna che è stata sola
per la sola colpa di essere nata
si ferma il respiro dentro la gola
si tinge di viola questa giornata

Di un viola che è segno di storia amara
di vita tradita, infanzia offesa.
Ma la donna sola è forte e chiara,
sul viola disegna speranza accesa

Speranza di un rosso che ha un suo bagliore
e che presto o tardi dovrà brillare,
e che non potrà lavar via il dolore
ma si farà culla del ricordare

Questa donna sola riempie il mattino
ci riempie i silenzi di storie mute
ci riempie gli sguardi col suo destino
ci riempie la schiena di fitte acute

E non sarai sola, mia donna forte
se questi ragazzi sapranno armare
la lingua ed il cuore contro la sorte
con l'arma terribile del ricordare.

Saremo noi soli, ormai lo sappiamo,
se mai tradiremo queste parole.
Giovanna e Liliana lo promettiamo:
non siete più sole ad essere sole

Raffaele Mantegazza

Vorrei ringraziare il Professor Mantegazza e tutti coloro che mi hanno affidato i loro scritti e che hanno avuto il coraggio e la forza di leggerli, come benvenuto, alle due signore che sono venute a parlarci di dolori e di speranze. "Siamo fragili e scalzi", ci ha detto il professor Mantegazza durante l'ultima lezione, eppure spetta a noi mantenere accesa quella fiamma che sempre più rischia di essere spenta.

Esperienze

Una esperienza da fare: lavorare in facoltà

di Teresa Ciociola e Davide Sala - s.d.e.

Un giorno di settembre, quando tranquilli rientravamo in casa, siamo stati avvisati che ci avevano telefonato dalla presidenza della facoltà!!! Così, è iniziata per noi una avventura lunga due/tre mesi, o per meglio dire 150 ore!

Tempo fa ci eravamo iscritti all'albo delle collaborazioni (tramite terminali SIFA) e ce ne eravamo quasi dimenticati. Visto però che la facoltà cercava due studenti, siamo stati contattati, insieme ad altri cinque o sei per lavorare all'ufficio Orientamento e Consulenza Didattica (nonché ufficio Tirocinio). C'è stata una breve selezione in cui tutti i candidati sono stati messi in ordine di punteggio (vedi terminali SIFA) e siamo stati scelti noi in quanto eravamo i primi due che sapessero utilizzare il computer.

Il lavoro è iniziato subito con ritmi intensi e si è aperto per noi uno scenario un po' inaspettato. Abbiamo sempre considerato questa facoltà estremamente "umana", oltre che umanistica e questa esperienza ci ha confermato questa sensazione. In particolare siamo stati a stretto contatto con due uffici, oltre al già citato la Presidenza, e la prima cosa che ci ha colpito, e che ricordiamo con piacere, è l'ottimo rapporto che c'è tra le persone che lavorano in questi uffici e il loro lavoro. Tutte le persone con cui ci siamo trovati in contatto (da chi lavora stabilmente in quegli uffici ai collaboratori a vario titolo, senza fare nomi) sono persone estremamente piacevoli e cordiali che riescono a rispecchiare questo loro essere anche nel loro lavoro. Sono persone che fanno molto di più di quello che sono pagate per fare, e spesso non è facile rendersene conto.

"DI CHI STANNO PARLANDO QUESTI?" Forse qualcuno di voi si sta facendo questa domanda, però ci preme sottolineare una cosa. Nel numero scorso di Scie in un articolo si citava, provocatoriamente, un'affermazione che molti avranno sentito fare anche a noi: "avete provato a guardare in bacheca?". Questa frase ci ha spinto a scrivere queste nostre considerazioni perché molti non si rendono conto, a volte, della situazione: la nostra facoltà è stata l'unica ad approntare un servizio di orientamento per le matricole aperto tutti i giorni tre ore presso la facoltà. Per più di un mese noi due studenti 150 ore abbiamo risposto a domande per tre ore al giorno e ce ne siamo sentite di tutti i colori. Siamo stati accusati di non essere disponibili, di non esserci mai, di non sapere niente! Vorrei un attimo chiarire queste cose. Nell'Ufficio Orientamento e Consulenza Didattica passa una mole di lavoro che è difficile da immaginare. Tutto l'orientamento dei nuovi arrivati (compresi i trasferiti) tutte le pratiche per la convalida degli esami dei trasferiti, tutto ciò che concerne i tirocini. Tutte queste pratiche vanno svolte dando la giusta importanza ad ognuno, ma come è possibile quando la gente continua a telefonare e interrompere? Facendo una selezione se tutti gli studenti leggessero veramente le bacheche e non dessero retta a tutte le voci di corridoio (idiote) che sentono più della metà delle persone che sono salite al IV piano non sarebbero salite e si sarebbe lavorato molto meglio. Abbiamo ricevuto telefonate di matricole che chiedevano con che mezzi pubblici si arriva in Bicocca, di studenti che volevano sapere se un professore era presente in facoltà perché era il giorno di ricevimento, ma volevano un'ulteriore conferma, di studenti che volevano sapere cosa pensavamo noi di determinati corsi o docenti, orari di lezioni, ricevimento, ecc.

C'è anche da considerare che si è nel bel mezzo di una riforma e non si può pretendere di conoscere già ciò che non è ancora stato deciso.

Cosiderando le forze in campo devo affermare che la facoltà non può rispondere a qualsiasi domanda passi per la testa a ciascuno di noi, sarebbe bello se lo facesse, ma forse non è neanche il suo ruolo. Non possiamo pretendere che gli elenchi di tirocinio escano velocemente e contemporaneamente e che chi li deve preparare sia a nostra completa disposizione tutto il giorno; non possiamo arrabbiarci se non ci vengono date determinate informazioni per telefono, è già difficile trovare il tempo per preparare e appendere i cartelli nelle bacheche a disposizione di tutti! È anche qui spiacevole dirlo, ma la facoltà non è pensata per chi non può frequentare e se anche si cerca di andare incontro a queste persone, queste non devono pretendere che la loro impossibilità a frequentare sia coperta dalla Facoltà: questa non ne ha le forze.

Con questo articolo volevamo solamente dire, e spero che si sia capito, che in una facoltà nuova molte cose non sono ancora "a regime", serve tempo perché si mettano in funzione certi meccanismi e l'unica cosa che si può chiedere è disponibilità e chi lavora nella nostra facoltà ne mette tanta a disposizione di tutti.

Ci sentiamo di dire un'ultima cosa: forse a qualcuno abbiamo risposto male in questo periodo, e chiediamo scusa, ma ciascuno di noi dovrebbe capire che se ci si presenta nervosi, si innervosisce, se si è irritati si irrita e se si è indisponenti si trasmette questo stato d'animo anche all'interlocutore. Non scordiamoci mai che la facoltà non è un ente astratto, per noi è spesso una persona con cui ci relazioniamo! Una persona che dobbiamo rispettare!

Auguriamo a molti di voi di fare le 150 ore in facoltà, serve solo tanta pazienza per rispondere centinaia di volte alle stesse domande e un po' di rigidità per poter trovare anche il tempo di chiudersi in ufficio e lavorare.

Pensieri

Una vita da mancina

di Patrizia Moretti - s.d.e. I anno

Eppure ci deve essere un modo… Perché questo sbucciapatate funziona nella mano di mia mamma e non nella mia? Ah già, la mano. Lei usa la destra e io la sinistra. Con la sinistra non può funzionare; quante volte l'ho sentita questa frase? La sinistra non va bene, prova con la destra. La sinistra è la mano del diavolo. Non ci riuscirai mai se continui ad usare la sinistra. È possibile sentirsi discriminati perché si usa la mano "sbagliata"? Pensavo di no, che forse ero io che facevo la vittima, ed invece stamattina ho avuto la conferma che il mondo non è fatto per noi mancini. Stamattina mi sono recata nell'aula 8 dell'edificio U4 per sostenere l'esame scritto di epistemologia genetica; come è comprensibile ero molto agitata ma quando sono entrata nell'aula mi sono sentita mancare: invece di esserci banchi su cui scrivere, l'aula era piena di quelle odiose sedie che hanno un minuscolo tavolino movibile attaccato, tanto per cambiare, al bracciolo destro della sedia. Chi scrive con la destra non può immaginare quanto sia scomodo e doloroso per noi mancini (provare per credere!) scrivere su un appoggio situato a destra. Il braccio sinistro rimane costantemente contratto e piegato e bisogna quasi sdraiarsi per riuscire a raggiungere tutto il foglio. In più la scrittura deve essere perfettamente leggibile per chi corregge il compito: giusta pretesa se fossero adeguate le condizioni in cui si è costretti a scrivere. Comunque ho fatto il compito e ho anche fatto notare il problema al docente presente in aula; naturalmente ho dovuto ugualmente appoggiarmi su quell'aggeggio infernale. Ho notato, però, che poco distante da me c'era una ragazza anch'essa mancina; l'ho riconosciuta con uno sguardo perché era nella mia stessa posizione. Alla fine del compito l'ho raggiunta e le ho chiesto se anche lei aveva trovato scomodi quei "banchetti": naturalmente ho ricevuto una risposta affermativa.

Eppure ci deve essere un modo… Ci deve essere un modo per far capire che sono proprio queste piccole cose che ci umiliano e ci fanno sentire diversi; alcuni degli oggetti che per i destrimani sono di uso comune per noi mancini sono inutilizzabili. Non è che non ci proviamo, noi tentiamo di capire in tutti i modi come funzionano, se e come possiamo ribaltarli e usarli al contrario; ma poi dobbiamo rinunciare, non sono cose per noi. E quando dobbiamo imparare qualcosa, ce la insegnano senza chiederci con che mano vogliamo farla: è chiaro, con la destra. Dobbiamo farla con la destra: o facciamo a modo loro o non impareremo mai. Per quanto lo giri e lo muovi lo sbucciapatate con la sinistra non funziona. Certo, per noi mancini ci sono oggetti "speciali", ma personalmente non ho mai visto le sedie con il banco attaccato al bracciolo sinistro; probabilmente se ci fossero non farebbero che sottolineare la nostra diversità, ma almeno scriveremmo comodi!

Eppure ci deve essere un modo… Bisogna sottolineare che essere mancini ha anche i suoi vantaggi; nel tennis, ad esempio, l'essere mancini aiuta a spiazzare l'avversario, a confonderlo e a piazzare colpi imprevedibili. I mancini, per sopravvivere, hanno dovuto inventare strategie nuove, nuovi oggetti e hanno dovuto imparare ad usare anche la destra perché in certe situazioni è inevitabile (personalmente uso le forbici con la destra). Ho letto in un articolo che i mancini sono più creativi e più competitivi perché devono farsi strada in un mondo che li sfavorisce dalla nascita. Quando lo racconto a qualche destrimane questo ribatte che l'articolo è stato sicuramente scritto da un mancino; tuttavia nessun destrimane ha mai scritto nulla di simile su chi usa la destra. Io sono orgogliosa di essere mancina, trovo che in parte sia stata la mia mano sinistra a farmi diventare quella che sono e sono grata ai miei genitori per non avermi mai costretta ad usare la destra. So che non tutti i mancini la pensano così e che molti destrimani sono mancini mancati, però io considero l'essere mancina un segno di riconoscimento, un privilegio… So anche che, dopo quest'ultima affermazione, non avrei più motivo di lamentarmi, ma io vorrei solo che il mio essere mancina venisse capito e agevolato anche dagli altri. Solo questo chiedo. Nessun favoritismo, solo un po' più di comprensione.

Eppure ci deve essere un modo… Come si vive una vita da mancina? Mi alzo la mattina e guardo istintivamente la mano sinistra: è ancora lì, e risponde perfettamente a tutti i comandi. Tiro un sospiro di sollievo. Che fortuna, anche per oggi non sarò costretta ad usare la mano destra!

Pensieri

Comunicare nella società globale 2

di Elena Polli - s.d.e. III anno

Cara Chiara, leggo nell'ultimo numero di Scie quanto scrivi sulla superficialità della comunicazione attuale e sull'invasione di telefoni cellulari che stiamo subendo e, come prima reazione, mi sento d'accordo con te. È vero, il telefono cellulare, l'informatica, la tecnologia in genere, stanno invadendo la nostra vita sempre più prepotentemente. Ma poi, un'ulteriore riflessione: come mai? Da chi dipende?

Credo che dipenda unicamente da noi stessi. Il cellulare a volte è utile, risolve problemi, facilita il lavoro di molti, in alcuni casi può anche salvare una vita. Dipende da noi l'uso che ne facciamo. Così come del computer, con cui ora sto scrivendo e che mi consentirà di inviare questo scritto facilmente e rapidamente. Così come della televisione, che possiamo usare per tenerci informati o per rincitrullirci davanti al Grande Fratello. Sicuramente, se nessuno lo avesse guardato, il Grande Fratello non sarebbe durato tre giorni…

Ecco che il discorso si amplia, e ora riguarda la responsabilità individuale, la libertà e la formazione. Nulla ci è dato che noi, volendo, non si possa cambiare, o almeno cercare di farlo. Siamo noi che ci costruiamo, giorno dopo giorno, attraverso le nostre scelte. E allora, dov'è la libertà? Nel fare tutto quello che ci passa per la testa? Nel seguire la spinta del momento, per esempio a fare un uso improprio di oggetti che sono altrimenti utili? O nel non dipendere da nulla, né dal cellulare, né dal computer, né dalla televisione, né dalle nostre emozioni e pulsioni passeggere? Per poter così costruire, ad occhi aperti e in piena libertà interiore, la nostra vita presente.

Anche l'università, di cui spesso sappiamo vedere solo gli aspetti negativi, la disorganizzazione, la lentezza, i problemi, anche quella la facciamo noi, o almeno anche noi, che ne siamo parte: se non viviamo attivamente il nostro stare nell'università, se non diamo un contributo per migliorare le cose in prima persona, anche poco, ma senza aspettare che cominci l'altro, che diritto abbiamo poi di lamentarci? Se ci comportiamo come pecore, non possiamo stupirci di essere considerati gregge…

E poi, l'università non è solo problemi, disorganizzazione, confusione. È anche un'opportunità di crescere, di allargare la nostra visione del mondo, che non a tutti è data. Non aspettiamo che l'insegnamento ci venga dato solo dall'alto: se vita e formazione coincidono, l'università è un'opportunità unica di formazione e autoformazione, che dipende unicamente da noi. Almeno, questo è il senso che io sto trovando in questa mia avventura in Bicocca, anche se spesso mi fa molto arrabbiare. Ma anche questo per me è positivo: se non accetto lo status quo, se ho ancora voglia di arrabbiarmi e di cercare di cambiare le cose, vuol dire che non sono poi così "vecchia" come credevo, nonostante i miei 4[…] anni, e anche di questo devo dire grazie alla Bicocca e a tutti voi.

Eventi

Riunione degli studenti lavoratori

In data 27/01/2001 si è tenuta nell'edificio U6 dell'università, una riunione organizzata per il gruppo slsed, ovvero studenti lavoratori di Scienze dell'Educazione, aperta però a chiunque volesse parteciparvi. All'assemblea erano presenti circa venticinque persone di cui quattro non lavoratori.

Ognuno di noi si è presentato ed ha esposto i propri problemi che ovviamente variano a seconda delle esigenze di ognuno, ma riassumendo si è parlato di:

Confrontando le nostre opinioni circa questi argomenti, abbiamo concordato tutti su un punto, ovvero che è inutile fare delle richieste enormi (per importanza) quando sappiamo già a priori che difficilmente verranno prese in considerazione (non a caso si dice "Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire") e siamo arrivati alla convinzione di dover strutturare per gradi le nostre richieste, partendo dunque dalla soluzione dei problemi di minore entità.

Abbiamo ipotizzato di creare per l'iscrizione agli esami delle liste solo per gli studenti lavoratori, che i professori visioneranno e che ci consentiranno di sapere giorni prima dell'appello d'esame il giorno in cui effettivamente verremmo interrogati, tramite l'affissione in bacheca della suddivisione dei candidati per ogni giorno d'esame, che i professori avranno il compito di effettuare (eventualmente con la collaborazione di qualche studente disponibile - se accettata da parte dei docenti)

Pensieri

Voci di corridoio

Redazione del sito non ufficiale

Insieme ad altre 4 persone, faccio parte della cosidetta "redazione" che si occupa di gestire, nel modo più efficiente possibile, il sito non ufficiale. Dietro a tutte le informazioni che vi si possono trovare sopra, c'è la volontà e l'interesse (da parte delle persone che s'impegnano ogni giorno per realizzarlo) di rendersi in qualche maniera utile e di dare la possibilità a coloro che non possono frequentare quotidianamente l'Università, di trovarsi meno spaesati di fronte a tutte quelle difficoltà organizzative che credo ognuno di noi, anche se in maniera diversa, ha dovuto affrontare e superare.

La maggior parte delle "notizie" presenti sul sito provengono direttamente dalle bacheche, quelle che si trovano a piano terra e quelle del quarto piano ma insieme a queste notizie vi sono poi informazioni che possono "tranquillamente" essere indicate, "denominate" come "voci di corridoio"… Cos'è una voce di corridoio? E cosa la distingue da una voce di corridoio "idiota"? Ognuno può interpretare e descrivere con le proprie parole e opinioni soggettive, ciò che può essere conosciuto come "voce di corridoio" e spetta ad ognuno di noi "sviluppare" capacità critiche "adeguate" e sufficienti per percepire nella maniera più corretta possibile, ciò che ci viene detto e ciò che sentiamo dire in giro… Ognuno vive la realtà che ci circonda in maniera personale, soggettiva e ci rapportiamo alle cose, alle situazioni, agli eventi, secondo tutto ciò che abbiamo costruito continuamente fino a questo momento (ora e poi); e siamo noi stessi, insieme alle "soggettività" degli altri, "fonti di

conoscenza". La realtà è data da un incontro e da un confronto intersoggettivo di idee, considerazioni, modi di essere, di pensare, la realtà si costruisce, non è mai data una volta per tutte, non può mai essere definita in maniera totalmente oggettiva, perché è (e siamo) in continua trasformazione. E di questo siamo a conoscenza tutti… credo. Ed è nostro diritto innescare in noi il dubbio. "Qual'è la verità?", "Chi è dalla parte della ragione e chi no?". Ma questo non è importante. Ciò che risulta essere di fondamentale rilevanza è il riconoscere come ognuno di noi, in base all'esperienza personale vissuta, può costituire (a modo suo) una "risorsa" per l'altro, al di là delle cose "idiote" o no (da cosa risulta poi essere "idiota" una "voce di corridoio"? Dal fatto che è falsa? E falsa in base a che criteri "oggettivi"? Cos'è l'oggettività?) che potrebbero essere "classificate" come tali…

La comunicazione non è uno strumento per "rispecchiare" la realtà esterna, bensì per CREARLA. Wittgenstein

P.S. "Voce di corridoio":Per l'esame di Psicologia Clinica bisogna preparare 4 libri e non tutti quelli indicati sulla Guida dello studente. A voi decidere se "innescare" il dubbio e cercare altre informazioni o "etichettare" queste parole come "idiote".

Racconto

Certo che lo rifarei!

di Enzo Biscardi - s.d.e. I anno

CAP. 1: DALLO SMARRIMENTO ALLA LOGICA

"…Certo che lo rifarei…"

Era questo l'unico concetto chiaro di tutto il discorso, una frase breve, sì, ma così precisa che pareva quasi dovuto e normale il continuo ripeterla.

"…Cento volte lo rifarei…"

Nonostante tutto, in quel groviglio di parole messe bene assieme, fin troppo bene, qualcosa pareva non andare!

"…Oggi stesso e poi domani e dopo ancora…"

L'unica cosa certa era che nella mia mente le immagini erano ancora ben chiare e quindi la vera difficoltà stava nel renderle concrete, nel tramutarle in parole, in un discorso, insomma: trovarne la logica.

Sì, perché iniziavo ad essere stanco e mi rendevo conto che le frasi non avevano più il senso che io volevo dargli.

La logica dei fatti era necessaria per poter rendere il tutto comprensibile e quindi non dovevo distrarmi, ma era difficile.

Cominciai a confondere i pensieri con le parole, ragionando solo su ciò che avevo detto e ignorando invece ciò che avrei dovuto dire.

Le mie parole, così, risultavano incomprensibili ed io divenivo sempre più confuso, ormai non ero sicuro nemmeno sul dove fossi in quel momento. Il mio disorientamento però non era dovuto ad uno smarrimento vero e proprio, io sapevo benissimo dove mi trovavo, dopotutto chiunque potrebbe riconoscere la propria casa anche ad occhi bendati, ma quello che mi accadeva attorno era così surreale da confondermi.

Così decisi di fermarmi e lo feci di colpo!

Improvvisamente non parlai più ed iniziai a guardarmi attorno.

Era da un po' che parlavo e ormai stavo praticamente gridando con quell'impulsività che mi appartiene. Vista la situazione pensai che fermandomi avrei attirato l'attenzione più di quanto non stessi gia facendo gridando, invece non accadde nulla.

Era incredibile come mia madre, mia sorella ed altri del parentato, riuniti a festa in casa mia, riuscissero ad ignorarmi con tanta semplicità.

Odiavo questo loro modo di fare perché mi faceva sentire dall'altra parte, uno sbagliato… Insomma, io non capivo ed iniziavo ad innervosirmi.

Il loro comportamento comunque mi fece notare che non solo non si meravigliarono del mio fermarmi di colpo, ma che già il mio gridare non li aveva colpiti più di tanto… Sì è vero crisi del genere ormai mi capitavano spesso, ma non pensavo che ciò potesse rendermi invisibile.

Comunque trattenni la mia ira per non dar loro soddisfazione e concentrai le forze per cercare di riordinare i pensieri.

Avevo bisogno che una ventata di pura e semplice logica mi rendesse tutto più chiaro, dovevo assolutamente comprendere che cosa stesse accadendo, così cercai di escludere il resto e continuai a pensare, ma non fu affatto facile!

I rumori, forse per la stanchezza, iniziarono a dilatarsi diventando fastidiosi. La gente fuori, intenta ad origliare, rumoreggiando appena, ampliava un falso silenzio che lento si stendeva pesantemente in ogni pausa. Sempre più frequentemente le voci si schiarivano, qualcuno beveva, altri mangiavano, i sussurri, nella loro inutilità, divenivano fin troppo comprensibili e i passi, quegli odiosi ed interminabili passi, riuscivano a legarsi con molta armonia a quel maledetto ticchettare degli orologi.

Li odiavo quegli orologi ed era più forte di me… Per convivere con quel ripetitivo tic-tac ero costretto a tramutarlo in una melodia, ma ciò mi distraeva… Se poi mi concentravo riuscivo a trovare una logica precisa, un nesso musicale tra i vari rumori dove gli orologi erano i maestri d'orchestra… Erano loro a comandare e in base al loro ritmo giravano tutti gli altri rumori! Per un momento pensai persino che qualcuno giocasse con me, facendo appositamente alcuni movimenti provocando così i rumori giusti al momento giusto… Ma ciò non era ammissibile, sarebbe stato troppo anche per me!

Comunque mi accorsi che il mio cercare di concentrarmi non faceva altro che confondermi.

I miei pensieri si univano l'uno con l'altro tramutandosi in immagini sempre meno chiare e il mio continuo sovrapporle rendeva la realtà distorta e confusa. Ero ad un tratto spaventato dalla mia incapacità di concentrarmi, oppresso da quell'assurdo e continuo pensare a niente e a tutto nello stesso momento che non mi portava da nessuna parte.

Eppure, contro ogni mia volontà, non riuscivo a smettere.

Quel silenzio forzato aveva ampliato qualsiasi altro rumore che non fosse più il mio parlare, rendendo così ancora più difficoltoso il mio cercar di capire.

Ma capire che cosa? E perché? Che cosa stava succedendo?

Improvvisamente iniziai a capire…

Compresi d'un tratto che non erano le risposte a mancarmi, ma le domande!!!

Finalmente avevo trovato la strada giusta e che stupido a non pensarci prima. Da troppo tempo ormai divagavo girando attorno a problemi e sensazioni che già conoscevo, ma che non rispondevano a nessuna domanda e solo perché io, ingenuamente, di domande vere non me ne ero ancora fatte.

Così ora non bastava altro che trovare in me e in questa assurda situazione domande precise, per dar loro finalmente una risposta e a me una meritata serenità.

Iniziai così ad avere le idee più chiare e più precise. Le domande aumentavano velocemente e si svilupparono in me senza attendere risposta, ma tanto non ce n'era bisogno, perché già il fatto di averle trovate mi donava una serenità che mi permetteva di poter riconoscere dei pensieri che prima mi parevano immagini distorte ed angoscianti.

Volevo capire, ora che ne ero in grado o perlomeno potevo tentare a farlo, dove, come e cosa mi aveva portato a gridare in casa mia contro un'indifferenza che non comprendevo…

Ma che diavolo era successo prima?

Dio quanto caos nella testa e quanti pensieri confusi messi insieme quasi come se non fossero i miei.

Ma che volevano dire quelle mie parole e a chi erano rivolte?

Così, mentre la mente era impegnata da tutte queste domande, un senso di sollievo spinto da un bisogno di rivincita e forse anche di vendetta, mi assalì!

Sarebbe bastato poco e presto tutti i miei dubbi avrebbero avuto una risposta!

CAP. 2: DALLA LOGICA ALLA MATERIA

Finalmente potevo pensare con più serenità e tutto mi apparve d'improvviso più chiaro.

Le immagini, che fino ad ora mi avevano turbato tanto, ora, invece, erano in grado di rendermi insensibilmente leggero, mi avevano liberato da un'angoscia fatta solo di miei pensieri; mi sentii terribilmente sciocco.

Comunque ora ero passato ad una fase successiva, nella quale esse mi avrebbero reso cosciente di ciò che realmente accadde, ma non fu così diretto; ogni volta che un'immagine si univa all'altra io capivo, sì, ma scoprivo cose che non mi appartenevano.

Così, per poter proseguire nella mia elaborazione cercando di evitare ulteriori confusioni, iniziai subito ad inquadrare le prime domande: Dove e quando!

Il mio pensare mi portò immediatamente nella condizione di ricordare, ma ancora in modo confuso. Mentre le immagini divenivano sempre più nitide fino a rendersi, senza nessun limite, comprensibili, presi coscienza del fatto che stavo per capire.

Quelle che erano solo immagini senza corpo, anime senza nome perse nella mente, prendevano sempre più velocemente forme più precise.

Il processo era rapido e piacevole.

Ormai ero vicino a comprendere e questa mia consapevolezza rendeva il tutto più semplice, un appagamento istantaneo che alimentava il mio sforzo rendendolo meno vano.

Più sentivo il piacere del comprendere e più mi sforzavo di capire, tanto che più l'immagine prendeva forma e più cercavo di percepirne i minimi dettagli fino all'esasperazione.

Non potevo immaginare di andare oltre.

Ma che cos'è un'immagine? È quello che vediamo o quello che sappiamo di lei? Entrambe le possibilità certo, solo che la prima coinvolge unicamente un aspetto sensoriale, che può essere persino ingannato nell'atto della percezione e che non coinvolge il nostro vissuto, ma più direttamente il nostro istinto. La seconda invece è noi allo stato puro! Comprende le nostre esperienze, le nostre aspettative, le nostre previsioni, il nostro modo di porci di fronte ad ogni evento, pur sia questo semplicemente guardare, tanto da poterci permettere persino di elaborare pregiudizi intimamente nostri, personali, viscerali!

Ma questa elaborazione non è così diretta.

Essa è fatta di restrizioni, di paure, di inibizioni e di tutto ciò che può portare il nostro io ad affogare in un altro io, un vestito cucito con stoffa che piace ad altri, magari a tutti, indossato in modo che trapeli ciò che io voglio che gli altri sappiano di me!

Ed è così facile ingannare se stessi che alla fine ci credi e saresti disposto a discutere e a lottare con chiunque pur di difendere le tue posizioni, con chiunque sì, ma tranne che con te stesso.

Ecco, ciò che mi aveva portato oltre il limite era l'impossibilità di giudizio o forse, più semplicemente, l'inattendibilità di uno unicamente mio.

Ad ogni modo ora le immagini erano nitide e pregne di senso, chiare ai miei occhi tanto quanto alla mia mente ed erano tutte lì che mi giravano nella testa e negli occhi.

Questo avrebbe dovuto porre fine al mio stato d'ansia e darmi finalmente pace, invece non fu così!

Ora quelle anime perse nella mia mente avevano ognuna un nome preciso ed erano divenute materia, tanto che mi riusciva impossibile distinguerle dalla realtà!

Erano ora un viso, poi una voce, ancora un volto, mia sorella, mia madre, delle lacrime, un continuo sottofondo di canti o di lamenti o forse entrambi.

Tutto girava ed io non potevo far altro che rimanermene passivo.

E ancora volti e ancora lacrime e parole e poi odori forti che si mischiavano e gli orologi quei maledettissimi orologi che non si sarebbero mai fermati.

E ancora volti che dentro abiti nuovi si avvicinavano e si allontanavano come per baciarmi; e le lacrime, dio mio, che non erano le mie, ma per me, per me maledizione; ma quei volti non capivano niente, mentre io sì, e non potevo far altro che guardarmi dentro e gridare!

E ancora volti vestiti in modo diverso di persone sconosciute, ed io che mi agitavo dentro, chiedendo un perdono che non aveva senso, mentre tutto mi girava intorno con precisione sempre a tempo di quella maledetta pendola che non smetteva.

Meccanicamente tutto aveva un inizio ed una fine tranne il mio gridare che continuava a non aver voce.

E i volti e gli odori e poi ancora volti sempre di più ed io che ormai scoppiavo dentro di me, nell'agitazione di movimenti che non avevano atto.

Tornai così a non distinguere più gli eventi, preso dalla quella che ormai era paura di nient'altro se non di aver capito.

Le facce tornarono ad essermi sconosciute fino a non sembrarmi più volti ma ombre.

Ombre che si fondevano agli odori, ai rumori e a tutte le altre ombre. Ombre che mi rendevano nervoso, spaventato e mi agitavo, gridavo, mi agitavo, ma non serviva, maledizione non serviva, le ombre rimanevano a guardarmi ed aumentavano. Si avvicinavano sempre di più, ma non erano più tante, erano una, un'unica lenta ombra nera, ferma, magra, alta, con un colletto bianco che si avvicinava, toccandomi e dicendo parole che non conoscevo ma che capivo e bene!

Ormai non avevo più nessuna concezione del dove e del quando e a questa riflessione mi accorsi subito che non sentivo più il ticchettio degli orologi, né le voci e nemmeno gli odori… Fu in quel momento che, esausto, mi lasciai andare a quell'ombra, abbandonandomi finalmente ad una meritata pace.

E fu silenzio.

Non so voi, ma io non pensavo fosse così strano morire… E se potessi, certo che lo rifarei.

Poesie

L'educatore è una persona che:
1. Ama la vita
2. Ha fiducia nell'essere umano e nelle sue potenzialità
3. È servitore e non manipolatore della verità
4. È esigente, ma al tempo stesso stimola la libertà
5. È sempre umano e comprensivo
6. Risponde, ma soprattutto suscita domande
7. Non insiste sul futuro, ma aiuta a comprendere il presente
8. Instaura rapporti con ogni persona, non con la massa
9. Educa con allegria
10. Ama e fa ciò che vuole.

Miguel Luca
da Patrizia Pedretti - III anno
Ciao a tutti e buon lavoro!

IL TRAM GIALLO
Mi piace il tram giallo
d'inverno,
il tram numero diciannove
che porta a Roserio.
Non ho mai saputo
dove fosse Roserio,
mi appoggiavo ai vetri appannati,
disegnavo scacchiere sulla città
stringevo i libri in braccio.
"Hai già il titolo della tesi?"
La geometria delle linee ferrate
conduce verso l'infinito.
"Cosa farai dopo?"
"Vorrei essere pagata per studiare."
Non ci sono riuscita
continuo a pagare per studiare.

Rita Garzetti Chianese - s.d.e. I anno

Devo parlare
perché non c'è altro modo
per portarti verso il silenzio che esiste dentro di me.
Tu non lo staresti a sentire -
sai ascoltare solo le parole.

Per questo sorrido quando comincio a parlare.
Ma mentre parlo è difficile sorridere;
è una tale tortura,
uno sforzo inutile -
dire qualcosa che non può venir detto
parlare di ciò di cui non si può parlare…

Ma non c'è altro modo,
per cui devo continuare.
Un po' alla volta sarai in grado di sentire il non verbale,
quello che è oltre le parole.
Pian piano sarai in grado di ascoltarmi
quando non sto parlando -
e allora non ce ne sarà più bisogno
allora sorriderò continuamente.

Bhagwan